Con i miei occhi nello slum Mumbai

Lo Slum è uno di quei posti in cui da sempre non è assolutamente consigliato entrare, soprattutto se si è forestieri, soprattutto se sei a Mumbai. Eravamo a 700metri quando io e Michael ci guardiamo e decidiamo, nonostante tutto, di andare a conoscere quella realtà…

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    Nascondo il marsupio con la maglia, non so proprio cosa aspettarmi…Entrando noto subito che però nessuno fa caso a noi, a differenza di tutti gli altri posti in cui sento tutti gli occhi puntati su me “diversa”, qui le persone non ci fermano. Non chiedono rupie, non ci fissano in modo insistente, continuavano semplicemente a fare la loro vita. Camminiamo lenti guardandoci intorno.

    La povertà è lì avanti a me, brutale, devastante, cattiva, senza speranza, senza colore…

    Le strade sono sporche e strette, la spazzatura è riversata ovunque in strada sotto il sole cocente e fa da banchetto per gli animali randagi.

    In alcuni viali non entra neppure il sole!

    Non credo abbiano le fogne, la puzza in alcuni punti è insopportabilmente pungente, eppure queste persone vivono lì, così.

    Ho visto tanti, troppi, bambini che vivono in quello Slum…

    È un po’ che esploriamo la baraccopoli, alcuni negozi sono raccapezzati a piano terra, e c’è una scala per salire in casa, al piano di sopra. È tutto fatiscente e arrangiato alla bene e meglio, dove ti giri ti giri, trovi amianto e lamiere. Due signori ci chiedono se avessimo bisogno di aiuto, se ci fossimo persi. Gli diciamo che è tutto ok e che è proprio lì che volevamo essere. Sorridono, ci ringraziano milioni di volte e vanno via.. continuiamo a camminare. Delle donne portano pensati sacchi di pietre e cemento sbriciolato sulle loro teste. Lo hanno fatto per tutto il giorno.

    Degli uomini più avanti ci invitano a sedere su delle panchine appena fuori un tempio dedicato a Rama. Parlano inglese e ci chiedono se vogliamo dell’acqua!
    SE VOGLIAMO DELL’ACQUA? Loro a noi chiedono se abbiamo bisogno d’acqua!

    Iniziano ad avvicinarsi i primi bambini curiosi.
    Scalzi, visibilmente sporchi.
    Ma dall’altro lato visibilmente sorridenti!

    Iniziamo a giocare con loro, Michael fa il gioco dei bomboloni e a poco a poco, prima timidi, poi spavaldi, una trentina di bambini ci circondano..sorridono, ridono di gusto, ci salutano da lontano, chiedono i nostri nomi, da dove veniamo, di fargli vedere le nostre città e le nostre case. Erano così genuini, così puri.

    Ero li senza tante parole, come se non ricordassi come si parla. In una bolla.

    Dopo aver dato loro una quarantina di bomboloni, un piccoletto e una piccoletta si avvicinano e mi dicono:
    “Didi (sorella in Hindi) this is for you”
    Ci avevano comprato della cioccolata e una bibita gassata.

    Come posso accettarla?
    Quanto mi sento scomoda in questa posizione? Apro la cioccolata e la divido in tanti pezzi quanto le mani che protese me la chiedono.

    Quello che ho vissuto è stato abbastanza per sgretolarmi.

    Il tempo scorre ed è ora di lasciare lo Slum per prendere il Bus. Torniamo in albergo, ma non avevo pranzato, così mi allontano per prendere dei momos e un chai.
    Mangio. Mi siedo a bere il chai. Da sola, in silenzio. Accendo una sigaretta e dopo la prima boccata, seduta in mezzo alla piazza con una trentina di indiani che mi guardavano, metabolizzo e piango. Non volevo farlo vi giuro, neanche io me lo aspettavo, ma le lacrime uscivano da sole.

    Amare. Tristi. Ingiuste. Inaccettabili lacrime.
    Ma anche lacrime ricche di risate. Di dhanyavaad e namastè. Dei loro occhi. Tempo ricco di emozioni in contrasto, di genuinità e gesti spontanei in una realtà crudele quanto umana.

    Oh India, cosa stai smuovendo dentro di me
    Chi sarò dopo di te?
    È poco più di un mese, cosa vuoi fartene della mia vita?